Molto spesso scegliamo di dare la responsabilità di ciò che ci succede a fattori esterni: le persone, l’ambiente e il destino. Questo atteggiamento il più delle volte non porta da nessuna parte se non verso il vittimismo, l’autocommiserazione e la frustrazione. Si tratta di una valutazione errata che induce uno stato di rassegnazione e rabbia, alimentando un gran senso di insoddisfazione e fallimento.
Ma cosa significa “responsabilità”? Il termine respons-abilità deriva dal latino responsus e significa rispondere delle proprie azioni, prevederne le conseguenze e agire diversamente per ottenere risultati diversi. Ma quanto costa riconoscere la propria responsabilità? A quanto pare moltissimo, perché significa che è possibile cambiare direzione, persone con cui abbiamo a che fare, fidanzati e fidanzate che ci andiamo a trovare; significa cogliere quando siamo portati per un lavoro piuttosto che per un altro e scegliere di cambiarlo rischiando di restare disorientati; significa assumersi il rischio di un domani che non ci è dato conoscere. Imparare a vedere la propria responsabilità implica abbandonare l’idea di essere in balia degli eventi e cominciare a riprendersi il potere di fare diversamente, accollandosi tanto il coraggio quanto la paura di andare incontro a ciò che non conosciamo. In fin dei conti è molto comodo credere di essere sfigati, falliti e miseramente vittime di situazioni che ci creano malessere; ci permette di restare inermi a contemplare quanto la vita sia stata dura con noi, quanto sia ingiusta tutt’ora e quanta gente, al contrario nostro, viva nel pieno agio. Accusiamo chi ha un buon lavoro di aver pagato per ottenerlo, chi si gode la vita di coppia di far finta che le cose vadano bene, chi ha una bella casa di possederla solo per eredità. Passiamo il tempo ad accusare chi ha più di noi, dando per scontato che sia felice, e a puntare il dito contro tutto e tutti perché non guadagniamo abbastanza, perché instauriamo solo relazioni distruttive, perché il sesso non ci gratifica; accusiamo il professore perché siamo stati bocciati ad un esame, la città in cui viviamo perché non riusciamo a far carriera; accusiamo Dio per le malattie e le disgrazie che ci son capitate o che hanno colpito persone a noi vicine. Lo stesso si verifica quando ci accade qualcosa di straordinario, come l’arrivo di un figlio che non potevamo avere o la guarigione da una malattia che credevamo ci avrebbe uccisi: finiamo per sostenere “grazie a Dio ce l’ho fatta“. Al di là delle proprie credenze religiose, proprio quando sembra impossibile che qualcosa sia dipesa da noi, è tanto più possibile che lo sia. Non si tratta di percepire il senso di colpa e di autoflagellarsi alla ricerca dei propri sbagli né tanto meno vuol dire punirsi per gli errori commessi insultandosi davanti allo specchio. Auto-colpevolizzarsi è ben diverso dall’assumersi la propria responsabilità; fa male, danneggia la coscienza, blocca l’azione, crea sofferenza e frena l’energia. Responsabilizzarsi, diversamente, restituisce a ciascuno il potere della propria esistenza e stimola l’azione verso il cambiamento.
Avete mai provato a sentirvi responsabili in questo senso? Ci si sente forti, capaci, attivi, tenaci e determinati. Guardare alla propria responsabilità permette di raggiungere gli obiettivi in modo più efficace e funzionale: si riconoscono le persone che ci fanno star bene, le attività lavorative che ci valorizzano, l’impegno necessario per superare un esame; si ritrova la grinta per affrontare un dolore, una malattia o un momento di difficoltà.
La responsabilità è uno dei prìncipi base della psicoterapia della Gestalt e il percorso psicoterapeutico permette di riprendere in mano la propria vita anche attraverso la riscoperta della responsabilità. A questo punto sorge spontanea la domanda: “come si fa?“
Per avere un’idea vi mostro un piccolo esercizio che sfrutta il potere delle parole e che permette di modificare la prospettiva. Procuratevi carta e penna. Scrivete 5 frasi nelle quali utilizzare le espressioni “non posso” e “non riesco“. Per esempio: “non riesco a trovare lavoro”; “Non posso dire a mio padre che mi ha ferito”; “Non riesco a dimenticare la mia ex”. Fate in modo che le frasi si riferiscano a fatti quanto più concreti possibile: la concretezza di ciò che viviamo rende tutto più vicino a noi e quindi modificabile. Quando avete terminato di scrivere le 5 frasi, sostituite le espressioni “non riesco” e “non posso” con “non voglio”. Riscrivetele e nel leggerle soffermatevi sull’effetto che fa su di voi. Concentratevi su quanto potere restituite a voi stessi riconoscendo che ogni esperienza, per quanto sembri una condanna, dipenda in gran parte dalla vostra unica volontà. Assaporate il piacere di poter cambiare il vostro destino.
Siate responsabili!
“Segui sempre le 3 “R”: Rispetto per te stesso, Rispetto per gli altri, Responsabilità per le tue azioni.”
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