Secondo la psicoterapia della Gestalt, la persona fa esperienza delle cose attraverso il cosiddetto “ciclo di contatto“. Fritz Perls, fondatore della Gestalt Therapy, concepisce l’uomo all’interno del proprio ambiente di vita, motivo per cui è impensabile considerarne i vissuti senza i molteplici fattori contestuali che ne influenzano il contenuto. Il ciclo di contatto, così come l’esperienza, sono fondamentali nel lavoro terapeutico gestaltico e rappresentano il canale preferenziale per l’esplorazione di sé. Provo a spiegarmi meglio.
Il principio generale della teoria del ciclo del contatto è che il nostro sé, quando vive nuove esperienze, lo fa attraverso la continua formazione e distruzione di gestalt (forme, strutture) che andrebbero masticate e digerite per poter passare a qualcos’altro. In questo senso, il problema psicologico si manifesta in seguito alla presenza di gestalt aperte, esperienze non elaborate, bloccate o interrotte. Ciò che fa da impedimento al completarsi della gestalt è la resistenza ed è proprio su questa che si lavora terapeuticamente.
Più precisamente, il ciclo di contatto va immaginato come il processo che si attiva quando sentiamo un bisogno e ci muoviamo per soddisfarlo. Esso si suddivide in quattro fasi consecutive:
1) pre-contatto: è la fase nella quale si percepisce la sensazione, ovvero si acquisisce l’informazione attraverso i sensi (vista, udito, olfatto, gusto, tatto e propriocezione) rispondendo alla domanda “cosa sento?“. Questa fase può essere legata sia alla sensazione fisica vera e propria che a qualcosa di più interpersonale come sentirsi a proprio agio o meno in una determinata situazione.
2) contatto: è il momento in cui si fa spazio l’emozione che accompagna la sensazione precedente. A questo punto è utile chiedersi “cosa voglio?“. Molto spesso accade che si provino più emozioni insieme: tristezza e rabbia, paura e angoscia, disgusto e frustrazione, gioia e dolore. Generalmente si considerano le cinque emozioni fondamentali (paura, rabbia, tristezza, gioia e disgusto), ma ce ne sono altre che ne rappresentano sfumature (vergogna, angoscia, ecc.,). In questo momento si inizia a mobilitare l’energia che andrà verso l’esperienza.
3) contatto pieno: si comincia ad agire per il raggiungimento dell’obiettivo, dell’oggetto che andrà a soddisfare il bisogno. Ci si chiede “cosa faccio?“. In questo caso non sempre ci attiviamo nella direzione giusta.
4) post-contatto: è la fase dell’assimilazione dell’esperienza, di ciò che ci resta grazie ad essa. Si chiude il ciclo e si può lasciar emergere nuove sensazioni, bisogni e desideri. La domanda in questa fase è: “cosa sento adesso?“.
Per esempio, pensiamo al bisogno di mangiare un boccone. La prima cosa che percepiamo è il brontolio dello stomaco, quel leggero fastidio che diventa rumoroso e che ci permette di capire che è arrivato il momento di nutrirci (pre-contatto); prendiamo contatto con questa sensazione e ci iniziamo a chiedere cosa desideriamo da mangiare: capiamo di aver voglia di un dolce (contatto); ci attiviamo alla ricerca di un dolcetto, cerchiamo nei mobili della cucina e nel frigorifero e troviamo una barretta di cioccolato che cominciamo a gustare; mentre la mastichiamo, ne percepiamo il sapore e lasciamo che vada a riempire il nostro stomaco (contatto pieno). Finita la barretta, ci sentiamo fisicamente appagati e possiamo lasciar emergere nuovi bisogni (post-contatto). lLa gestalt è chiusa.
Quali sono le resistenze o interruzioni del ciclo di contatto?
Nella fase del pre-contatto i possibili blocchi sono dovuti alla confluenza e alla desensibilizzazione. La confluenza si ha quando non distinguo ciò che è mio da ciò che è dell’altro; in altri termini confondo le mie sensazioni con quelle altrui. Salta il confine e finisco per assecondare i bisogni dell’altro pur non appartenendomi. Si perde la propria identità e la capacità di sentirsi. Quando questo meccanismo riguarda l’emozione, si parla di desensibilizzazione.
Nella fase del contatto, le interruzioni sono: introiezione, proiezione e deflessione. Nell’introiezione, l’ambiente entra nell’individuo che lo accoglie. Per esempio, essa si verifica quando aderiamo a modelli, idee, convinzioni che non rispecchiano la nostra persona. Rappresenta il meccanismo alla base dell’educazione, della trasmissione di valori e in senso psicologico consiste nell’inghiottire informazioni senza masticare, e quindi senza trasformare. La proiezione, invece, si manifesta quando l’individuo entra nell’ambiente. Essa è funzionale perché ci permette di essere empatici e entrare in contatto con l’altro, ma diventa problematica quando l”ambiente si configura come il campo di battaglia per affrontare vissuti interiori. Si tende ad attribuire all’esterno dinamiche proprie. La deflessione comporta che si riduca l’intensità dell’evento per non sentirne l’impatto emotivo.
Nella fase del contatto pieno, troviamo la retroflessione e la proflessione. Nella prima, faccio a me stesso ciò che vorrei fare agli altri; ad esempio, sono arrabbiato ma mi arrabbio con me stesso, praticando atti autolesionistici per sfuggire alla responsabilità di direzionare la mia rabbia verso qualcuno. La retroflessione da un lato è utile perché ci impedisce di esprimere aggressività senza freni inibitori, ma dall’altro diventa patologica quando sfocia nel masochismo o nel narcisismo. Non a caso tale resistenza è alla base di molte somatizzazioni e malattie psicosomatiche. Per quanto riguarda la proflessione, si tratta del processo per cui faccio all’altro ciò che vorrei facesse a me. Immaginiamo situazioni nelle quali esprimiamo premura e affetto perché noi stessi ne abbiamo bisogno.
Nella fase del post-contatto troviamo l’egotismo, ovvero un rinforzo del confine di contatto che induce alla totale concentrazione su di sé. Si tratta di una resistenza che permette di evitare la relazione con l’ambiente, proteggendosi dalla paura che suscita.
Il lavoro psicoterapeutico permette di scoprire quali sono le proprie interruzioni del ciclo di contatto, a cosa servono e in che modo creano blocchi nell’esperienza, lasciando aperti vissuti non elaborati che influenzano la vita di oggi.
Ogni esperienza così come ogni boccone, ha bisogno di essere letteralmente masticata per essere digerita e assimilata. Quando ingoiamo e basta, resta il pasto in gola, rischiamo di rimanerne soffocati o finiamo per sentire fortissimi mal di pancia. In un momento storico nel quale il contatto con l’altro è fortemente limitato, impariamo a contattare noi stessi in modo più consapevole.
“La tua visione diventa chiara solo quando guardi dentro il tuo cuore. Chi guarda fuori, sogna. Chi guarda dentro, si sveglia.”
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