Quando ci accade qualcosa di inaspettato che porta alla malattia di una persona cara o alla compromissione della nostra stessa salute fisica, la prima grande reazione è di disperazione e rabbia.
Proviamo a immaginare cosa accadrebbe se ci ritrovassimo improvvisamente senza più la possibilità di vedere; il senso della vista è completamente annullato ed è tutto buio intorno a noi. Cominciamo a fare delle verifiche, magari tenendo gli occhi chiusi per un po’ per farli riposare oppure mettendo del collirio per idratarli; strizziamo gli occhi, apriamo e chiudiamo compulsivamente le palpebre e le strofiniamo con le mani. Il risultato è sempre lo stesso: vediamo nero e basta, nessun ombra, nessuna sagoma, nessun colore. Non è possibile! Come è potuto succedere? Di fatto sta succedendo e suscita in noi panico e un milione di domande. Ci raccontiamo di averli sforzati troppo, di non aver indossato abbastanza gli occhiali, di aver portato per troppe ore le lenti a contatto. Siamo alla ricerca di motivazioni che spieghino la causa e al tempo stesso fungano da obiettivo su cui intervenire; quindi, per esempio, se la causa sono state le lenti a contatto, la logica vuole che se smetto di metterle, tornerò a vederci bene.
Siamo assolutamente certi che si tratti di qualcosa di temporaneo, che la vista tornerà presto e faremo di tutto affinché questo si verifichi. Di conseguenza, ci attiviamo subito e prenotiamo una visita urgente dall’oculista di fiducia, cercando di camuffare al mondo la nostra inabilità. Ci troviamo, però, costretti a doverlo raccontare alle persone a noi più vicine, che non possono non rendersi conto che camminiamo senza vedere un bel niente. Abbiamo bisogno di essere accompagnati e sentiamo vergogna, impotenza e frustrazione con la testa piena di pensieri che si accavallano e creano frastuono. La verità è che non sappiamo cosa pensare, cosa credere, cosa provare. Non abbiamo nessuna idea del perché stia succedendo e perché proprio adesso, proprio a noi; è impensabile e inaccettabile anche solo l’ipotesi di una vita senza vista dopo che gli occhi hanno funzionato per anni; in fin dei conti non siamo nati ciechi e quindi perché mai dovremmo diventarlo proprio ora? Non ha senso, è ridicolo!
L’esito della visita è chiaro: siamo diventati non vedenti e non possiamo farci niente; la nostra unica speranza è un impianto chirurgico di recente invenzione che avvolge il nervo ottico e che permette di recuperare totalmente la vista. Non possiamo aspettare, dobbiamo raccogliere tutte le informazioni necessarie e tutti i soldi che occorrono per fare l’operazione che ci farà tornare “normali”. Finalmente ricominciamo a respirare, vediamo una luce in fondo al tunnel, una via di uscita da questa situazione fastidiosa; possiamo eliminare quanto prima questo scherzo della natura e far sì che il nostro corpo ricominci a funzionare “come Dio comanda”. Che sensazione meravigliosa!
Nel frattempo, in attesa della possibilità di sottoporci all’intervento, curiosiamo qua e là sui metodi, strategie e linguaggi del mondo dei ciechi. Impariamo a capire come muoverci nell’ambiente senza poter vedere gli ostacoli, come leggere con il solo uso del tatto; impariamo a sentire di più gli altri sensi e a godere del ricordo delle immagini che abbiamo dentro. Ricordiamo i colori dei fiori quando ne sentiamo il profumo, la luce di una giornata di sole quando ne percepiamo il calore, lo sguardo del nostro gatto quando gli accarezziamo il pelo; ricordiamo i nostri lineamenti quando ci accarezziamo il viso. Proprio mentre impariamo a godere di questo nuovo stato delle cose, è in attesa dietro le quinte l’aspettativa di un intervento che ci restituirà la vista esattamente come era prima. O almeno così crediamo. L’illusione si rivelerà delusione quando ci renderemo conto, purtroppo, che l’impianto ci permette di vedere ma non come ci sarebbe piaciuto: i colori sono sfocati e si mescolano tra di loro, le figure hanno bordi indefiniti, i volti si mostrano annebbiati; il caos di una vista meccanica che fa venire il volta stomaco. La verità è che ci siamo fatti tante domande nessuna delle quali è stata davvero utile alla nostra sopravvivenza. Forse avremmo dovuto chiederci: “perché l’Universo mi sta togliendo la vista? Cosa vuole insegnarmi? Dove e come vuole che io veda?”
Forse ho visto troppo o troppo poco; magari ho sempre guardato nella direzione sbagliata; forse è arrivato il momento di guardarmi dentro, di sentirmi di più, di fermarmi nella quiete interiore di immagini impresse nella mente; posso imparare a stare con quello che c’è, con quello che ho. Ci ostiniamo a cercare sempre di mettere a posto le cose che si rompono, soprattutto quando hanno a che fare con il nostro corpo. Siamo così intenti ad aggiustare, sistemare e controllare che perdiamo di vista quello che stiamo diventando, il cambiamento che si sta verificando. Sentiamo il corpo solo quando si ammala, ci dedichiamo a noi stessi solo quando abbiamo fastidi, sintomi e dolori. Ci ricordiamo della bellezza delle sensazioni solo quando cominciano a funzionare male. La tenacia e la determinazione nel voler uscire da una malattia, da una mancanza e da una perdita, è sinonimo di forza, di energia e di positività; quando questo correre, però, diventa ossessione, quando la vita comincia a girare sempre e solo intorno allo stesso punto, vuol dire che ci siamo già persi. Delle volte è necessario lasciare che le cose vadano per il loro corso, che il fiume scorra seguendo la corrente. Quando lasciamo che così sia, il corpo si alleggerisce, la mente si schiarisce e la pace arriva al cuore.
“La depressione poi l’ira Mi rivolsi ad uno specialista Che mi disse c’è una sola cura Come prima cosa nella lista Parla con l’orecchio, chiedi scusa.”
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