Da decenni noi tutti viviamo nella crisi, una difficoltà psicologica, sia individuale che collettiva, che crea incertezza e precarietà. Come esseri umani, siamo parte di un campo, un contesto, e non possiamo credere che tutto ciò che avviene intorno a noi non abbia influenza sui nostri vissuti. Al contrario, è necessario comprendere in che modo fattori esterni abbiano un forte impatto sulla nostra esistenza e, in particolare, su quella dei più giovani, che tanto amiamo criticare. Per approfondire la questione possiamo cominciare dal considerare il modo in cui l’uomo di oggi percepisce il tempo. In questi termini, è come se il futuro avesse cambiato segno: da positivo è diventato negativo. Ma che cos’è il futuro?
Non è solo ciò che succederà domani o tra una settimana, ma è anche lo spazio che ci separa dal presente e ci pone in una prospettiva, in una proiezione. Il futuro è un concetto che si traduce nell’aspettativa e che inevitabilmente ci protende verso una direzione. Quarant’anni fa, i nostri genitori e nonni, erano certi che la scienza, le tecnologie e la ricerca, sarebbero riuscite a guarire malattie letali come il cancro e che saremmo diventati padroni delle leggi della natura. C’era ancora tanto da scoprire, imparare e sperimentare e questo poneva tutti in uno stato di speranza e di promessa. Il domani era il tempo della realizzazione e risoluzione delle cose. Oggi il clima è ben diverso, c’è un pessimismo diffuso e senza vie di uscita, che ci lascia immaginare solo un futuro disgraziato.
Dalla sensazione che l’uomo potesse avere il mondo in mano, si è passati ad un forte senso di impotenza. Questa terribile e pericolosa incapacità, alimenta sfiducia persino nelle scienze, che perdono di valore e credibilità dinanzi a eventi fuori controllo. Non sorprende che gli adolescenti di oggi ricerchino nei videogiochi la possibilità di combattere per qualcosa, di conquistare terre e mondi, sentendosi in grado di poter gestire e comprendere ciò che nella realtà è del tutto incomprensibile. La conseguenza è il rifugiarsi lontano da rapporti fasulli, da una scuola distante, da genitori nevrotici e da un mondo che spaventa e confonde.
Un altro aspetto importante di questa epoca è il venir meno del cosiddetto “principio di autorità“, ovvero dell’asimmetria nel rapporto tra adolescente e adulto. Quando un ragazzo si relaziona ad un adulto, sia esso genitore, insegnante o coach, è necessario che lo percepisca su un piano diverso rispetto al proprio. Questo non significa che l’adulto sia migliore del ragazzo, ma che possiede esperienze, maturità e conoscenze tali da essere una possibile guida. Dalla relazione nasce un obiettivo comune e solo quando questo sarà chiaro a entrambi, l’adolescente adempierà a leggi, richiami e suggerimenti. Ciò che si verifica oggi, invece, è una simmetria dei rapporti, che porta alla mancanza del riferimento, del rispetto delle regole e l’inevitabile ritorno all’autoritarismo. Se l’adolescente di oggi chiede “perché dovrei obbedirti?“, l’adulto spesso, non sapendo cosa rispondere, dice “perché sono tuo padre“, o “perché comando io“; risposte che indispettiscono e che, diciamocelo chiaramente, non significano nulla. Nessuno risponde mai “perché sono responsabile di questa relazione“. Il dato allarmante è che il fenomeno in questione si allarga all’intera società e se non c’è il riconoscimento dell’autorità in famiglia e a scuola, come possiamo pretenderlo al di fuori.
Noi tutti, professionisti e non, siamo responsabili dei giovani che entrano nelle nostre vite. Considerarli semplicemente disinteressati, distratti, superficiali e menefreghisti è riduttivo e senza scopo. Cominciare a collocarli nella realtà di oggi, così minacciosa e priva di colori, forse dà un senso al loro modo di essere, al modo in cui scappando esprimono una felicità fittizia. Continuiamo a educare i ragazzi come se tutto questo non stesse succedendo, offrendogli prospettive future che non esistono. Impariamo a trasmettere loro la voglia di coltivare interessi e passioni per il semplice gusto di farlo, senza un fine immediato; impariamo a educarli al presente, a ciò che c’è adesso e al dedicarsi alle cose qui e ora. Mettiamo da parte promesse fasulle e diamo spazio all’ascolto, accettando le loro stravaganti idee assieme alle incoffesabili paure.
Il disagio giovanile non è fantasia, ma è l’espressione più radicata e profonda del cambiamento che vediamo verificarsi nel mondo.
Bibliografia
L’epoca delle passioni tristi (2003). Miguel Benasayag e Gérard Schmit. Feltrinelli.
“E tu che non spegni mai le luci a casa tua Perché credi di non esser l’ultimo, Ma il futuro l’avete inventato voi. Il futuro l’avete inventato voi. Il futuro l’avete inventato voi. Il futuro è una trappola.”
Comments are closed.