Tante persone vivono per strada, negli atri delle stazioni o sotto i portici. Tante altre vivono in camioncini, roulotte o camper. La loro storia non sempre è quella di chi ha perso tutto e non può avere altro che l’angolo di un marciapiede, non sempre è la condanna di una vita di rassegnazione. A volte, è semplicemente una scelta di libertà che va oltre le mura di casa, estranea alla civiltà cittadina e lontana da comodità a cui tutti siamo abituati. Si predilige il contatto con la natura, il viaggio on the road dove ogni posto è casa, a discapito di un ambiente caldo, confortevole, spazioso che può offrire anche l’appartamento più modesto. Ci si mantiene con ciò che capita, adeguandosi ad impieghi a breve termine, anche molto diversi tra loro. E si va avanti così, nel silenzio dei momenti di solitudine e nella convivialità delle condivisioni tra “vicini di casa“. Si tratta di una continua sfida con se stessi.
Quanti di noi sarebbero capaci e disposti a vivere così?
Sono numerosi i sacrifici e le rinunce da fare. Pensate al continuo pericolo a cui si è esposti se si dorme nelle stazioni di servizio lungo la strada; pensate al giudizio delle persone comuni che vi considerano “senza tetto” solo perché ne avete scelto uno diverso e in movimento; pensate alle difficoltà pratiche e logistiche legate a spazi piccoli, nei quali cucina, camera da letto, toilette e salotto si incastrano come i mattoncini del Tetris. Pensate alla vostra cacca. Dove la mettereste? Come la smaltireste? Come fareste in modo da non morire asfissiati per la puzza di feci?
E poi ci sono i parenti, quelli che vi chiamano per chiedere se avete bisogno di qualcosa o per sapere che fine avete fatto. Gli stessi che vi considerano fuori di testa e non capiscono il motivo di questo interminabile campeggio. E in effetti ce lo chiediamo anche noi: perché?
Di che libertà stiamo parlando?
Sembra che in questo caso la libertà prenda le sembianze della ribellione e della fuga. Ci si sente liberi quando si tengono a distanza le responsabilità, le sofferenze e i ruoli familiari. C’è troppo dolore da affrontare e ampi vuoti da colmare, senza la pressione di chi fa tante domande, detta regole o critica. Restare con se stessi per sentirsi più liberi, a costo di guardarsi intorno e non vedere nessuno. Più si è lontani più si è forti per dimenticare e andare avanti.
In questo vagare senza meta, rimane una vita che percorre senza fermarsi, alla ricerca di quell’istante di meravigliosa bellezza nel quale ci si può lasciar morire. Visibile nel cuore e nello sguardo, la tenerezza di chi si accontenta di piccole conquiste, di momentanee visioni con la capacità di riconoscersi fragili e viandanti.
Fern: “Mio padre diceva: ciò che viene ricordato vive. Forse ho passato troppo tempo della mia vita…solo a ricordare.“
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