È un po’ che non scrivo nulla. Sì, perché non ho l’ispirazione. Mi fermo a pensare a quali argomenti potrei sviluppare, quali sarebbero interessanti o al contrario noiosi e ripetitivi. Così mi dico che non posso abbandonare la cura del mio sito che con amore ho riempito e colorato di me stessa. Non mancano giudizi e autocritiche dove mi considero priva di fantasia, forse di idee o una persona con pochi contenuti. E allora resto intrappolata in un desiderio di scrivere e di esprimere chi sono che non viene a galla, bloccato in un limbo dove le idee restano vane e la convinzione che non valgano niente vince sempre la battaglia. E poi mi vien da dire, “Sì, ma che palle!!“. E allora mi chiedo come fanno coloro che hanno sempre qualcosa da dire, che credono nelle proprie opinioni e che hanno la straordinaria capacità di parlare di qualunque cosa, dal calcio alla politica, dalla serie tv all’opera lirica, dalla Divina Commedia a “Io sono Giorgia”. Il fatto è che sta gente si informa, cerca, si documenta a prescindere dall’interesse che nutre per la questione, si ingozza di cultura e conoscenza senza fermarsi mai a ciò che gli viene detto o trasmesso in tv. Ma io non sono così. Io non mi avvicino proprio a cose che mi scocciano, che considero banali e poco creative, per niente stravaganti o che non hanno del trascendente. Io seleziono le cose che mi piacciono e quando mi sembra che non ce ne siano, mi deprimo, mi incazzo con chi sa sempre cosa fare, dire, pensare e ovviamente con me stessa. E mi avveleno di frustrazione, del tempo che passa, di sbirciatine alle statistiche del sito per rendermi sempre più conto di quanto sono masochista e di come rischio di perdermi anche le poche persone che hanno il piacere di leggere ciò che scrivo.
Pare che esista il cosiddetto blocco dello scrittore, uno stato psicofisico nel quale non si riesce più a scrivere per svariati motivi legati a impegni, stanchezza, malattia, ecc. Io, però, non sono una scrittrice, non mi sogno neanche di considerarmi tale, anche se poi mi viene in mente che ormai chiunque scrive libri a cui sarebbe il caso di dar fuoco come in Fahrenheit 451. Ma no, sono una psicoterapeuta che si diverte a scrivere un blog per divulgare informazioni di tipo psicologico o per suscitare riflessioni in chi legge. Sì, per lo meno questa è l’intenzione, diffondere il verbo lasciando che le persone possano sentirmi più vicina, conoscermi un po’ di più sapendo che non c’è niente di male se si vive un periodo difficile o una vita incasinata e che rivolgersi a qualcuno può davvero cambiare le cose.
Ma tornando a noi, non mi metterò a spiegare cos’è il blocco dello scrittore, perché lo trovate su Wikipedia, ma voglio usare questo spazio per indurre chi legge a sapere che anche gli psicoterapeuti sono esseri umani; anche io, infatti, seguo un percorso di psicoterapia (povera la mia terapeuta) che mi permette di conoscermi e di lavorare più serenamente con chi si rivolge a me.
Io con le mie debolezze ci vado a spasso, me le tengo strette o delle volte le mando a quel paese, ma ci sono, così come ci sono le esperienze, le parole, i traumi che di tanto in tanto riaffiorano con forza. Sarebbe sin troppo facile accettare di sé solo gli aspetti più piacevoli, funzionali, equilibrati e rispettosi, ma nessuno di noi è una macchina programmata per esser così. Siam fatti per dare anche il peggio di noi, arrabbiarci quando non è il caso, piangere per banalità, ferire per vendetta, essere arroganti e vittime allo stesso tempo, disgustosi e esilaranti in base a come ci gira quel giorno. Io sono squilibrata, tutti siamo squilibrati e va bene così.
Credete che non mi sia chiesta centinaia di volte se sarebbe stato il caso di scrivere tutto questo?
Sì, l’ho fatto, ipotizzando alternative diverse rispetto alle possibili reazioni di chi legge. Per primo potrei suscitare pena e risultare la psicoterapeuta che ha bisogno di attenzioni, calore, di essere valorizzata nelle proprie capacità; questo avvicinerebbe persone che hanno voglia di salvarmi. Seconda previsione riguarda la possibilità di favorire un giudizio del tipo “Come faccio ad andare da lei se sta più inguaiata di me!?”. Terza previsione, la meno plausibile nel mio cervello nichilista, è quella più bella e a cui aspiro e cioè “Wow, se sta così rovinata saprà capirmi“.
Ma facciamo i seri. In verità in seduta, ho sempre il piacere di condividere con la persona che ho di fronte, situazioni simili o nelle quali mi son sentita allo stesso modo; ci si sente meno soli e a proprio agio sapendo che qualcun altro ci è passato e ne è uscito salvo.
Perciò non mi interessano le conseguenze di questo articolo, il riscontro più o meno positivo che potrà avere su chi si cimenterà nella lettura, mi interessa rendere visibile una parte di me che mi manda in palla, mi spaventa e irrita, lasciandomi l’amaro in bocca. E questa volta non lascerò che mi risucchi e immobilizzi, ma la trasformerò in un potere che mi permetta di scrivere anche quando proprio non ho niente da dire. E va bene così.
“È una questione diqualità, è una questione di qualità, è una questione di qualità,
o una formalità, non ricordo più bene, una formalità.”
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